Fabrizia Capurso – Psicologa Psicoterapeuta

Psicologia e Psicoterapia Cognitiva – EMDR

Alzheimer: cosa rimane quando tutto se ne va

da | Gen 8, 2019 | Blog

“Il corpo di mia madre è sempre più rattrappito. È piccola. Una cosetta leggera, ossuta e dolorante (…). Mi scambia di nuovo per mio fratello maggiore, mi chiede notizie dei suoi bambini mescolando tutto. Attribuisce i miei a un altro dei suoi figli. Preferisco riderci sopra. Mio fratello la prende male e ha le lacrime agli occhi. Anch’io ho voglia di piangere, ma mi trattengo perché ha dei momenti di perfetta lucidità in cui la riconosco.” (Jelloun T.B., 2005).

La storia di Lalla Fatma, madre dello scrittore Tahar Ben Jelloun, colpita dall’Alzheimer, racconta le ferite di chi ne soffre, sempre più straniero a se stesso e agli altri, e dei familiari che assistono impotenti a questo progressivo smarrimento. Al suo passaggio, il morbo di Alzheimer butta tutto all’aria, annebbiando la visione della vita e di se stessi. Sconvolge le abitudini e ostacola i progetti. Fa vacillare le certezze e disorienta i sentimenti.

Sfide poste alla ricerca e ai familiari

Il decorso della malattia vede un incostante aggravarsi dei sintomi. Un decorso soggetto a oscillazioni e fluttuazioni. Intanto la persona rimane esposta ai rischi della propria condizione, costituendo un pericolo per sé e per gli altri. Proprio per le caratteristiche particolari dell’Alzheimer, ci si trova al bivio tra la volontà di aiutare chi è in difficoltà e la sensazione limitare la libertà personale di chi ha parzialmente ancora autonomia e libero arbitrio. È una questione aperta a cui la scienza oggi non sa rispondere: un adeguato approccio etico risulta perciò tanto più difficilmente definibile quanto più labili e sfuggenti sono i termini della comprensione della malattia degenerativa.

Un altro aspetto da considerare è quello riguardante chi è alle prese con la sofferenza di vedere il proprio caro perdere progressivamente tutte le sue capacità, la sua identità, le modalità di rapportarsi con lui e con gli altri. Quando la persona malata è un genitore o un coniuge, i rapporti si invertono: da persona che curava, aiutava, proteggeva, rassicurava, sosteneva, diventa persona bisognosa di cure, aiuto, protezione, rassicurazione e sostegno.

Memorie e vite sconvolte

I ricordi vengono erosi: i primi anni portano via ricordi più recenti. Poi vengono intaccati i ricordi autobiografici. Difficile descrivere le sensazioni di un malato di fronte ai sintomi dell’Alzheimer. Un po’ come quando al risveglio si tenta di ricordare un sogno sembrato interessante: perde quasi subito la sua nitidezza per sfumare a brandelli, nonostante gli sforzi. Un sogno è fatto per essere dimenticato. La realtà no, ma per un malato di Alzheimer le esperienze degli eventi sfumano allo stesso modo, lasciando un senso di vuoto straniante e inaccettabile. La persona si trova in un tempo mentale che  non corrisponde al tempo cronologico. A ciò si aggiunge la difficoltà a collocare volti familiari nelle proprie conoscenze e a dare nomi e ruoli aggiornati a quei volti. La realtà percettiva non condivisa e non comprensibile, porta ad azioni che risultano spesso prive di senso, talvolta anche pericolose.

Quello che si smarrisce e provoca smarrimento

Il corpo non riesce più ad accedere in modo consapevole agli apprendimenti assimilati, e ciò non permette di recuperare le conoscenze pregresse né di acquisirne di nuove. Vengono dimenticate le parole, il loro significato, le regole grammaticali e sintattiche. La casa e i luoghi da sempre frequentati diventano sconosciuti. Vengono smarriti i punti di riferimento. I propri familiari, di cui non si riesce a ricordare neanche il nome, diventano sconosciuti. Tutto si oscura provocando incertezza e smarrimento. Uno smarrimento tale da “non riuscire a dare del Tu a se stessi” (Kimura, 2005).

Aspetti destabilizzanti

A volte l’impressione è che la personalità sia stata distrutta per sempre. Altre sembra che non sia così, che la personalità rimane intatta nonostante atteggiamenti bizzarri o insoliti. Il malato di Alzheimer può apparire dispettoso: può lasciare sporco il bagno per l’incapacità di distinguere il colore bianco. Può accadere che una persona molto dolce e gentile nei modi, diventi intrattabile, soprattutto durante i pasti principali. Che urli, si alzi da tavola senza finire il cibo nel piatto, inveisca contro gli altri incolpandoli di rubare il cibo. Stranamente però, potrebbe al tempo stesso accadere che la persona mangi solo il cibo contenuto in una certa parte del piatto. Problemi alla vista sono alla base di questo comportamento. Il malato di Alzheimer non ha sufficienti risorse cognitive per farne un accurato esame, per identificare le emozioni in modo adeguato e poter comprendere quale sia l’effettivo disagio e la fonte di esso.

Quello che destabilizza e sorprende

La persona affetta da Alzheimer colpisce per la sua capacità di cogliere lo stato emotivo altrui, di valutare l’autenticità della gente, di intuire un atteggiamento benevolo e uno maldisposto, di decifrare i segnali di dolcezza o di durezza nel tono di voce, nei gesti o nello sguardo. Fa rimanere decisamente interdetti la capacità di questo essere così vicino e lontano, assente, inaccessibile a chi gli sta accanto, che però all’improvviso si dimostra tragicamente presente, commosso e turbato perché percepisce le nostre emozioni come se le vivesse al posto nostro, come se riflettesse il nostro stato d’animo. Coglie sottigliezze che spesso ci sfuggono e ritrova la meravigliosa sensibilità del bambino. E proprio come un bambino il malato di Alzheimer non si preoccupa più di quello che potranno dire gli altri, ed esercita la spontaneità e la fantasia.

La musica rimane quando il resto se ne va

Ascoltare la musica, le canzoni di un tempo, ha il potere di sbloccare ricordi e capacità cognitive, fino ad immergere il malato di Alzheimer in un oceano di emozioni benefiche e positive. Una recente scoperta ha messo in evidenza come sulla memoria musicale, localizzata nella corteccia cerebrale motoria supplementare, il morbo non arrivi con un forte impatto. Quest’area resta quindi attiva, continuando a lavorare (Jacobsen, 2015).

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