Ripercorrere le tappe evolutive di certe vite, significa guardare a quei bambini che si muovono impauriti ad ogni passo, che a scuola non parlano con gli altri compagni, che alle recite scolastiche stentano a dire una parola. Succede infatti che venga svelato a scuola il vero “volto” di quella che spesso viene etichettata come troppa timidezza. Fuori dalla scuola il problema è l’introversione, il disinteresse per le relazioni o addirittura l’assenza di idee e pensieri interessanti da comunicare. Ci si sente dire tutto questo e si arriva a crederci. L’ansia riesce a convincere che non si è all’altezza delle proprie aspirazioni, e non si riesce più a stare in mezzo alla gente. Si avertono sempre gli occhi di tutti puntati addosso. Occhi giudicanti e pronti a criticare.
Ci si azzarda a dire che forse è qualcosa di ereditario, una predisposizione, ma che forse il tutto è anche acuito dal mondo troppo frenetico, dalla società, dove ogni gesto, parola, singolo sguardo viene osservato e giudicato. Se ai suoi livelli minimi l’ansia o fobia sociale può essere confusa e minimizzata dietro il velo della timidezza, ai suoi livelli massimi attraversa la soglia della paura, che non di rado si manifesta col panico, di essere oggetto di devastanti giudizi negativi nelle situazioni sociali. La paura di apparire goffi e impacciati o di dire qualcosa di sbagliato in una qualunque situazione sociale, può essere paralizzante. Sentirsi osservati può generare panico: ci si può sentire come perennemente sotto esame, con la paura di dire o fare la cosa sbagliata.
Personalità evitante
Il sentimento alla base è la vergogna, di sé e dei propri difetti, veri e presunti. Un’emozione difficile da gestire e che tende ad autoalimentarsi. La vergogna è l’emozione dominante anche nella condizione che potrebbe essere considerata una variante più pervasiva, generalizzata e stabile dell’ansia sociale: il disturbo evitante di personalità. Persone con questo disturbo sono ipersensibili ai possibili giudizi negativi da parte degli altri, e tendono a evitare attività lavorative o sociali che implichino un significativo contatto interpersonale. Anche nelle relazioni intime sono riluttanti e inibite, per il timore di essere rifiutate, umiliate o ridicolizzate. Questo atteggiamento timoroso può suscitare derisione e scherno, nel lavoro come nella vita sentimentale. A causa della loro insicurezza sono spesso costretti a rinunciare a occasioni importanti. Purtroppo queste esperienze confermano la bassa opinione di se stessi, in un circolo vizioso che rinforza sempre di più il disturbo.
Un tormento senza fine
Non solo il parlare, ma anche l’azione più semplice come il mangiare o il bere di fronte ad altri possono diventare un tormento. La bocca troppo aperta o troppo chiusa, la postura rigida, il rossore o il tremore, affanno, disturbi gastrointestinali o sudorazione che esporrebbero, nella mente di chi soffre di ansia sociale, a una gogna pubblica insopportabile. Tutto può diventare fonte di angoscia e preoccupazione e causare ulteriore impaccio nelle situazioni sociali. Concentrandosi sulle proprie risposte somatiche e sulle valutazioni negative di cui si potrebbe essere oggetto fa perdere di vista i segnali reali provenienti dagli altri, col rischio di mostrarsi veramente goffi e maldestri. Se anche la situazione ansiogena volge al termine, può non concludersi il tormento: il rimugino è costante, sia sul proprio comportamento, sia su tutto ciò che è andato e potrebbe ancora andare storto, e su tutti i possibili scenari.
In una vita di rinunce e di evitamenti, la sfera relazionale subisce così pesanti limitazioni: si sacrificano uscite con amici, feste e locali. Si posticipano esami universitari. Vivere con questa forma d’ansia è come avere una benda sugli occhi, con il terrore che qualcosa di incontrollabile possa arrivare da qualsiasi parte e in qualsiasi momento. Senza godersi nemmeno un istante della propria vita, stretta perennemente nella morsa di una costante tensione che irrigidisce non solo la mente ma anche il corpo: dolori muscolari, colite nervosa, gastrite, dolori mandibolari, mal di testa. Le conseguenze negative del disturbo impattano sulla sfera affettiva, sulla carriera scolastica e lavorativa. Per placare ansia e insicurezza c’è chi abusa di alcolici. Gli adolescenti sono tra i più colpiti dal disturbo, che è più comune nel sesso femminile.
Uno scopo ben preciso
Potrebbe venire in mente la pellicola di Amelie, nel suo favoloso mondo, dove la protagonista si circonda di persone che annaspano, come lei, nei rapporti umani, e si proteggono da questi costruendo gabbie e recinti immaginari.
Il desiderio di essere accettati e di fare bella figura, come la paura di essere rifiutati, sono esperienze comuni e umane, sviluppate con uno scopo ben preciso a livello evoluzionistico: garantire la sopravvivenza. In una condizione di disagio questo scopo diventa centrale e imprescindibile e inoltre tutto è permeato dalla sensazione di incapacità di realizzare tale desiderio. Quasi sempre quest’ansia proviene dal mondo interno della persona, e non ha nessun riscontro nella realtà esterna. Se ci si guardasse con gli occhi degli altri, non esisterebbe nulla di tutto ciò che si pensa di essere.
Alcune storie che racconta la mente andrebbero guardate in modo più distaccato e compassionevole. Riscritte tenendo conto del fatto che l’eventualità di non piacere a qualcuno non rappresenta una minaccia alla propria intera esistenza. Un rifiuto fa parte dei normali eventi sociali ai quale è impossibile sfuggire. Servirebbe riprendere in mano la propria vita. E se anche l’ansia tornasse a chiedere attenzioni, si potrebbe fare un bel respiro ed un passo in avanti in direzione dei propri obiettivi.
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