Sono circa tre milioni gli italiani che soffrono di un disturbo comportamento alimentare. Nel mondo decine di milioni. L’anoressia e la bulimia, tra i disturbi più noti, costringono a cambiare le proprie abitudini alimentari. Suscitano molta ansia e grande preoccupazione per il peso e le forme del corpo. Le prime avvisaglie compaiono solitamente durante l’adolescenza, non risparmiando nessuno dei due sessi. Non sono solo i giovanissimi a esserne colpiti. Conformarsi a un modello fisico dominante rappresenta la soluzione patologica al problema dell’identità e del valore personale. Credere di essere deboli può terrorizzare. Così si cerca di avere il controllo, la forza di resistere, di sopprimere la fame, il più primordiale degli istinti. Non basta una comprensione razionale del sintomo: dura il tempo di questa lettura. La guarigione interessa l’ambito personale e relazionale. Servono esperienze riparative per convinzioni acquisite nelle relazioni passate e nel presente, relazioni traumatiche e adattamenti disfunzionali. Il sintomo alimentare è vissuto in solitudine. La mente sola è una mente stanca, affaticata, che tende ad ammalarsi per le carenze. La fame controllata, o incontrollabile, oggetto di queste ossessioni, governa il cibo e i rapporti.
Non ci si ammala di un disturbo alimentare semplicemente per seguire dei canoni estetici o perchè non c’è forza di volontà. Non si tratta solo dell’opera dei mass media o delle sollecitazioni esterne. C’è qualcosa che tortura la vita di chi ha un disturbo alimentare. Un dolore che non lascia tregua. Si è cercato di esprimerlo con parole che non si sono trovate o che, anche se trovate, non hanno avuto ascolto. L’anoressia lascia il proprio corpo vuoto, ma da l’illusione di autonomia, di forza e controllo. Si è visibili solo se si svanisce pian piano dentro ai vestiti. La magrezza consente visibilità, nonostante conduca alla soglia della morte. La percentuale di mortalità e di danni irreversibili agli organi interni per il forte sottopeso e i grossi stress fisiologici indotti è un dato non trascurabile. Eppure l’anoressia sembra godere di un certo fascino, almeno nei gruppi di discussione su internet, dove viene affettuosamente chiamata “ana”, e dove si trovano tante altre sconvolgenti assurdità.
Anoressia nervosa
Nel primo tempo della malattia, di forte restrizione alimentare e perdita di peso, si sperimenta un paradossale senso di felicità e trionfo. Le modificazioni biologiche cui il sistema nervoso centrale va incontro, tra cui un’aumentata produzione di endorfine, suscitano stati di benessere ed un effetto eccitatorio simile a quello prodotto dall’uso di cocaina. Ma questa euforia esaltata del non mangiare niente è destinata a trasformarsi nel suo contrario. Si può arrivare a mangiare di tutto durante una crisi bulimica. Farà seguito un sentimento radicale di disperazione, di mortificazione, di inadeguatezza e colpa. La depressione, l’atto finale, gioca un ruolo principale. Chi soffre di anoressia proverà sempre insoddisfazione per la propria immagine corporea. La qualità della vita può risentire di malcontento e frustrazione.
Il termine “anoressia” si presta ad equivoci: il significato etimologico rimanda all’assenza di appetito. L’anoressia nervosa non mette a tacere la fame. La persona anoressica potrebbe essere disperatamente affamata. Così investe sempre più energie per mantenere il controllo. La fame sempre più intensa può generare nel tempo una spinta compulsiva verso il cibo. Così si finisce per cedere all’abbuffata. Il vomito e le altre condotte evacuative o l’esercizio fisico massacrante, permettendo di bruciare le calorie in eccesso, preservano l’immagine corporea. L’iperattività, lo stare sempre in movimento, servono anche a scaricare la tensione del pasto, a tenere la mente impegnata, non sentendo la spinta biologica della fame. L’intensa paura di aumentare di peso si associa ad alterazioni nella percezione del proprio corpo. Un corpo disprezzato, affamato o riempito allo stremo, sotterrato da una montagna di cibo per non sentire dolore. Di cui poi ci si sbarazza, insieme agli eventuali chili di troppo. Un corpo dove si vive, sulla propria pelle, la violenza, l’invadenza e il giudizio dell’altro.
Bulimia nervosa
Chi soffre di bulimia nervosa ha spesso un peso ai limite della norma. Questo rende difficile individuare la problematica. La persona bulimica, perdendo l’autocontrollo sul cibo, quasi in uno stato alterato di coscienza, ne ingurgita una quantità esorbitante. Si scelgono generalmente gli alimenti a disposizione, che non richiedono una lunga preparazione, anche abbinando sapori molto diversi tra loro. All’abbuffata seguono contromisure di compenso rispetto all’eccessiva ingestione di alimenti. Un’abbuffata può essere scatenata da alterazioni dell’umore, stati d’ansia o stress. A volte viene programmata, seguendo il principio dell’atto consolatorio e scegliendo con cura il momento e gli alimenti adatti.
Chi soffre di bulimia, così come chi soffre di anoressia, basa la valutazione di sé esclusivamente sul proprio peso e aspetto fisico. Come se riuscire ad avere il pieno controllo del proprio peso costituisca un lasciapassare per affrontare le sfide della vita. Si è sempre consapevoli di ogni cambiamento ponderale, in tempo reale, anche senza ricorrere alla bilancia. Anche col solo controllo tattile. I pensieri sul cibo assillano non solo a tavola e i momenti di conviviali sono degli incubi ad occhi aperti. Tutto è soggetto al conteggio: i passi, i grammi, le calorie.
Specchi deformanti
Prima ancora dello specchio, il volto materno ha un impatto nella realtà psichica. Quando una madre non rispecchia sensibilmente il volto del bambino, ma è immersa nel proprio mondo, distratta, non ricettiva, assente per la maggioranza delle interazioni che non riguardano soltanto il pasto ad esempio, il bambino perderà la percezione di esistere. Non è visto come soggetto, ma solo guardato. I problemi con lo specchio, l’apparire, la bellezza riflettono in gran parte ciò che una madre o chi per lei in primo luogo ha comunicato con i suoi occhi rivolti sul piccolo. La mente può distorcere l’immagine riflessa nello specchio.
Lo sguardo dell’altro espone all’incertezza, e così vanno fatti i conti con l’immagine di se stessi che quello sguardo restituisce. Impone di dare sempre la versione migliore di se stessi, di rendere il corpo sempre più un prodotto personale, da migliorare, levigare continuamente, per essere accettati e amati. Quando ci si concede la libertà di essere così come si è, ci si comincia a nutrire della vita. Una vita senza la bilancia sotto i piedi o sotto il piatto, dove il proprio valore non è strettamente correlato alle calorie ingerite o bruciate.
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