La Terapia Cognitiva nasce negli anni Sessanta del secolo scorso, nel contesto statunitense. Qui Aaron T. Beck, all’epoca ricercatore in Psichiatria presso l’università della Pennsylvania, comincia a sviluppare un nuovo modello teorico ed un nuovo orientamento terapeutico. Nonostante la sua formazione psicoanalitica, Beck propone un trattamento più semplice, più breve e più funzionale di quello psicoanalitico che comincia ad essere considerato sempre più inadeguato, frutto di una scienza ottocentesca ormai obsoleta. Se per Freud vanno portate alla luce paure e conflitti repressi per tornare al trauma precoce, Beck afferma l’importanza di analizzare i pensieri per giungere alla comprensione della sofferenza. La novità è rappresentata dal fatto che le motivazioni della sofferenza mentale ed i meccanismi di cambiamento psicologico non sono necessariamente da ricercare nell’inconscio, ma possono essere compresi a partire dall’esperienza cosciente della persona. In altre parole, per la Terapia Cognitiva, il pensiero costituisce sia il problema psicologico primario che la sua cura. Dati i numerosi approcci di orientamento cognitivista sviluppatisi negli anni, quella di Beck è stata rinominata terapia cognitiva standard.
Il ruolo dei pensieri
La psicoterapia cognitiva o cognitivo-comportamentale considera pensieri, emozioni e comportamenti in stretta relazione. Presuppone che i problemi psicologici siano influenzati e mantenuti in vita da ciò che pensiamo nel presente. Non è quindi l’evento in sé a causare direttamente malessere ma è piuttosto il modo in cui lo leggiamo. La nostra visione del mondo cambia se indossiamo delle lenti differenti dal solito. Un esempio: se mentre siamo a casa in una giornata ventosa e sentiamo un rumore possiamo pensare “ci sarà una finestra che ha sbattuto”. In questo caso andremo semplicemente a controllare rimanendo abbastanza tranquilli. Se invece pensiamo “potrebbe essere un ladro” le nostre reazioni emotive e comportamentali potranno essere completamente diverse. Come scrive Sofocle: “Chi ha paura non fa che sentir rumori”.
Pensieri negativi automatici
Immaginiamo un bicchiere pieno di una bevanda frizzante: i pensieri negativi automatici sono la schiuma in superficie. Rivelano ciò che pensiamo in un determinato momento, significati dedotti, interpretazioni sul mondo e dove ci collochiamo al suo interno. Manifestano ciò che fermenta più in profondità a livello psicologico. Pensieri che balenano continuamente per la testa, paragonabili ai “monologhi interiori” dei romanzi di Virginia Woolf e James Joyce. Vanno e vengono come corvi del malaugurio, portatori di dubbi o preoccupazioni, passando inosservati mentre adempiamo ai nostri impegni quotidiani. Per una giornata da dimenticare pensiamo “mi va sempre tutto male”, o guardandoci allo specchio in un negozio “devo proprio dimagrire”. I pensieri negativi automatici sono rumore di fondo nella mente, chiacchiericcio costante, 24 ore su 24, sette giorni su sette. Sono idee negative, commenti, brutti pensieri su noi stessi, rimproveri costanti, come una cronaca in diretta, che minano la nostra sicurezza e autostima.
Presupposti non funzionali
Continuando ad immaginare la bibita, il corpo centrale, sotto la schiuma dei pensieri negativi automatici e sopra il pesante sedimento delle convinzioni di fondo è costituito dai presupposti non funzionali. Questi sono spesso pensieri rigidi, fissi, condizionanti e generalizzati. I presupposti non funzionali possono essere meno accessibili e meno facili da individuare. Possono contenere condizionamenti culturali e sociali (in quanto donna dover sempre pensare prima agli altri, dover guadagnare abbastanza da mantenere la famiglia e realizzarsi economicamente se si è uomo, sentirsi diverso per il colore della pelle). Non aiutano ad affrontare concretamente e con elasticità tutto ciò che può capitare nella vita. Non sono appunto funzionali.
Convinzioni di fondo
Nella parte bassa del bicchiere si trovano le convinzioni di fondo sedimentate, gli schemi di vecchia data, ripetitivi, che risalgono al passato remoto, alla prima infanzia e agli anni giovanili e che ci accompagnano per tutta la vita. Gli schemi possono essere latenti o attivati da specifiche situazioni.
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