Fabrizia Capurso – Psicologa Psicoterapeuta

Psicologia e Psicoterapia Cognitiva – EMDR

La vergogna, guardiana della buona immagine

La vergogna è l’emozione guardiana di uno scopo importante che è quello della buona immagine e della conseguente stima degli altri. La valutazione è vitale per l’ essere umano. Uno dei bisogni fondamentali per tutti noi è valere qualcosa per qualcuno.

Il termine vergogna deriva dal latino “vereor”, che significa “rispetto, timore rispettoso”. In inglese, “shame”, si ricollega alla radice germanica “kam”, che significa “nascondere, coprire” (col prefisso “s” diventa riflessivo, “nascondersi”). L’etimologia latina pone in risalto la motivazione scatenante della vergogna (il senso di rispetto e stima, la buona immagine). Il termine inglese rimanda a una delle caratteristiche conseguenti alla vergogna: il bisogno di nascondersi. Tale emozione è dunque legata allo svelamento o smascheramento di parti di sè considerate riprovevoli. La vergogna, vista dalla società come segnale di insicurezza ed immaturità, attira l’attenzione altrui.

Quando ci si vergogna?

Non ci si vergogna solo di azioni o caratteristiche o difetti personali. Ci si vergogna anche “di riflesso”, immaginando di essere nei panni di qualcun altro che si vergogna e talvolta ci si vergogna di vergognarsi. Si può provare vergogna per situazioni immaginate o previste: la “vergogna dell’innocente”, quando si può dar adito a critiche o giudizi negativi per delle azioni in realtà non compiute. Se ad esempio siamo soli in una sala d’attesa e il distributore automatico dove abbiamo inserito soldi non eroga il prodotto selezionato, potremmo tirare dei pugni alla macchina affinché rilasci quanto ci spetta. Se però in quel momento arriva un’altra persona, ci potremmo vergognare di quello che potrebbe pensare.
Il valore della valutazione negativa cambia a seconda di chi abbiamo davanti. Per esempio un ragazzino potrebbe vergognarsi di fronte ai genitori di un proprio comportamento deviante ma vantarsene con gli amici.

I segnali tipici della vergogna

Una delle manifestazioni più tipiche della vergogna, soprattutto di fronte agli altri, è il rossore avente una funzione comunicativa, non intenzionale. Anzi spesso è “contro-intenzionale”. L’arrossire comunica sensibilità per il giudizio altrui e condivisione delle norme, anche se momentaneamente infrante. Questo si riaggancia alla prescrizione sociale di provare e manifestare vergogna quando si violano dei valori (diciamo talvolta “si deve solo vergognare!”).
Occhi bassi e capo chino per non essere fronteggiati, secondo Darwin, risponderebbero alla necessità di nascondersi, sottrarsi al giudizio altrui. Altra possibile funzione di questa sorta di resa, atteggiamento opposto al mantenere fronte e viso alti (sfrontatezza), sarebbe di chiedere implicitamente venia, inibendo eventuali aggressioni. In questo modo gli altri, vedendo riconosciuti e affermati valori normalmente condivisi, non attuano alcuna discriminazione.
Le manifestazioni tipiche della vergogna, veicolando un complesso messaggio non verbale, mirano al mantenimento o rafforzamento dei valori di riferimento e alla riduzione della sanzione sociale.

A che serve la vergogna?

La vergogna serve dunque a chi la prova per ridurre le possibilità di essere aggredito. Al tempo stesso è un importante indicatore di come il soggetto si sente nei confronti degli altri. Inoltre è un importante regolatore del comportamento: è proprio per evitare di provare vergogna che spesso facciamo o non facciamo qualcosa.

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    Freud sosteneva che la fuga è lo strumento più sicuro per diventare prigionieri di ciò che si vuole evitare. Quando si cerca di sfuggire a un problema, a un'emozione o a una verità scomoda, si rischia di rimanere intrappolati in un ciclo di negazione che rafforza quel "mostro". Evitare il disagio sembra che protegga, almeno fino a quando non si realizza che ci si protegge anche dalla vita. Evitare una conversazione difficile può sembrare facile, finché la distanza diventa irreversibile. Ignorare i propri sentimenti può sembrare sicuro, finché il peso non diventa insostenibile. Fuggire dalla paura può sembrare una protezione, finché non ci si accorge che si è sfuggiti dalle opportunità. Il dolore che si evita non scompare. Nella migliore delle ipotesi si accontenterà di un angolo della mente, plasmando i pensieri, le attitudini e persino le relazioni. Elaborarlo permette di imparare e andare avanti, più leggeri e più forti. Fuggire è il modo per rimanere nello stesso posto; affrontare fa progredire.- Dott.ssa Fabrizia Capurso ... See MoreSee Less
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