Due stagiste cercano l’una di battere l’altra sul tempo con cui chiudono pratiche: ci tengono a far bella figura col loro responsabile. Diventa una sfida anche alzarsi dalla scrivania: almeno 5 minuti dopo la “rivale”, e gli straordinari sono all’ordine del giorno. L’una dell’altra conosce a stento nome ed età, ma saprebbe dire con esattezza quante borse o paia di occhiali da sole e di scarpe ha. Risultano ben impiantati nella memoria atteggiamenti, espressioni facciali e verbali, comportamenti. Durante le pause pranzo, cui loro non partecipano ovviamente, i colleghi non fanno che parlare e ridere di questo.
Due mamme si scambiano convenevoli e sorrisi, oltre che informazioni sui rispettivi pargoli. Le prime parole pronunciate, poi l’alimentazione, il peso, le ore di sonno e il nido dove vanno. E alla fine quale dei due bimbi otterrà un punteggio giù alto?
Siamo geneticamente programmati per competere. La competizione è dietro l’angolo anche delle più apparentemente innocue conversazioni quotidiane, sui banchi di scuola, sulle scrivanie, tra amici, partner o fratelli. Talvolta non ce ne rendiamo nemmeno conto, ma siamo ogni giorno in gara. Ogni giorno si gioca per noi la partita della vita. Dobbiamo provare agli altri il nostro valore. E quando non lo facciamo, sono gli altri che ci sbandierano paragoni e confronti con altre persone (“Alla tua età io lavoravo già”… “La figlia della mia amica sa suonare benissimo il violino”). Così possono complicarci la vita stress, ansia per l’ossessione di vincere -o essere i primi- e paura di non riuscire.
Una giusta dose di competizione come lievito della vita
Come dicevano i latini, in medio stat virtus. Un po’ come per tutte le cose, un po’ in tutti gli ambiti della vita, dal lavoro allo sport, una sana competizione ci spinge più avanti. Migliora la performance e agisce positivamente anche sulla motivazione. Un’altra importante e doverosa considerazione: qualcuno più bravo ci sarà sempre. Appare forse più vincente accettare quest’idea che la ricerca spasmodica del primo posto.
E allora sediamoci pure al primo banco -perchè si segue meglio- ma ricordiamo che all’ultimo si ride di più, forse per la visuale migliore o perché a metter più distanza tra noi e le tante cose della vita, tutto sembra più facile.
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