La complessità dei fenomeni sia fisici che psichici si presta ad una lettura psicosomatica che serve a risalire al significato originario dei sintomi. Dopo un’odissea di medici ed esami, un medico specialista scrive nero su bianco una diagnosi e la persona malata si sente finalmente compresa. Può dimostrare che quel malessere non è frutto di chissà quale fantasia. Nella medicina moderna talvolta la sofferenza sembra trovare riconoscimento solamente se uno specialista la certifica. Dietro questo sollievo si nasconde l’insidia, una volta avuta la certificazione della sofferenza, un po’ come un’etichetta, di farla diventare elemento costitutivo della propria identità e, almeno in parte, condizione di prigionia.
Eppure la fibromialgia viene definita spesso “malattia invisibile”, risultando difficoltoso diagnosticarla attraverso esami di laboratorio e condividendo i suoi sintomi con altre condizioni cliniche. È una malattia reumatica che colpisce con dolori muscoli, tendini legamenti e articolazioni. Oltre al dolore diffuso, la fibromialgia innesca anche stanchezza persistente, disturbi del sonno, deficit di memoria e concentrazione, episodi di depressione, sbalzi umorali ed instabilità. Chi ne soffre possiede forse un decimo dell’energia quotidiana di una persona sana. Quando questa energia viene esaurita, il corpo si spegne, la mente perde lucidità e il dolore si intensifica. Anche volendo svolgere molte attività durante il giorno e la vita, è come restare confinati in una prigione buia, in trappola. In un corpo incapace di rialzarsi. Ogni notte è una scommessa su come sarà il giorno dopo, quanto sarà intenso il dolore e consentirà di fare quello che si desidera, o semplicemente ciò che è necessario.
Ciò che colpisce il corpo e la mente
Anche le cose che rientrano nelle normali attività quotidiane come vestirsi, lavarsi possono provocare dolore perchè i nervi sono molto sensibili. Il sistema di allarme del corpo continua a inviare segnali che rendono i nervi sensibili e i troppi segnali di dolore da muscoli e tessuti finiscono per sopraffare il sistema di controllo, amplificando il dolore. Anche ricevere un abbraccio può risultare estremamente doloroso. È come tenere una radio accesa a volume troppo alto, come se il corpo non trovasse mai un vero riposo, in una battaglia costante con una stanchezza persistente, che rende tutto più impegnativo, anche le interazioni sociali e le relazioni interpersonali. Può essere difficile la comunicazione e la comprensione reciproca tra partner, familiari e amici se c’è irritabilità per l’inseparabile stanchezza fisica e mentale. La persona che soffre di questa condizione clinica può sentirsi costantemente sopraffatta ed incapace di prendere parte appieno alle attività sociali, con conseguenti frustrazioni e risentimenti, creando un abisso tra lei e chi la circonda. Tutto questo può interferire con la capacità di coinvolgersi emotivamente nelle relazioni, portando a sentimenti di isolamento e disconnessione.
Le cause esatte della fibromialgia non sono note. Un ruolo importante la scienza lo attribuisce alla genetica, oltre che ai fattori che possono scatenare una reazione dell’organismo. Tra questi si possono trovare una malattia, un lutto, un’infezione, un trauma fisico o psichico. Ad essere quindi chiamato in causa è lo stress cronico, che inonda il corpo di cortisolo. Lo stress cronico è spesso l’esito di un trauma passato non risolto. Citando Bessel van der Kolk, “il trauma è molto di più di una storia su qualcosa che è successo molto tempo fa. Le emozioni e le sensazioni fisiche che sono state impresse durante il trauma sono vissute non solo come ricordi ma come reazioni fisiche dirompenti nel presente.”
Il trauma conta
Per chi vive questa malattia, ogni momento è una lotta delicata, permeata da dolori fisici ed emotivi. Ogni giorno è contrassegnato da stanchezza e incomprensione. Una battaglia solitaria che consuma le forze. È fondamentale superare queste sfide e rafforzare i legami affettivi anche di fronte alle difficoltà imposte dalla fibromialgia, con comprensione, pazienza e supporto reciproco. Ogni passo rappresenta una conquista. Ogni sorriso un raggio di sole e vittoria sull’oscurità che la malattia porta con sè. La comunicazione aperta, il rispetto dei limiti dell’altro e la condivisione delle responsabilità possono contribuire a rafforzare le relazioni e a promuovere un ambiente di supporto e comprensione reciproca. Un’importante relazione è quella col proprio corpo, che va visto come un alleato, va ascoltato e capito.
Felicità, sicurezza e appartenenza, vanno cercati dentro di sè, prima ancora che all’esterno: è importante cominciare o ricominciare a coltivare questi sentimenti nel proprio spazio interno, dopo aver subito una perdita di funzione, scopo o connessione dovuta a una malattia cronica.
Contano anche i ruoli prescritti dalla società
Le ricerche recenti hanno dimostrato che sono più le donne che sviluppano malattie autoimmuni. Una fetta di responsabilità ce l’hanno i ruoli della vita quotidiana. Hanno più probabilità di essere ammortizzatori di stress e dolore per il partner o i figli o i familiari. Questo schema molto probabilmente si ripeterà anche sul posto di lavoro. È un qualcosa che ha a che fare con la negazione cronica di sé, col mettere cronicamente i bisogni e i sentimenti degli altri davanti ai propri, col dire sì quando si vorrebbe dire di no. È la mancanza di confini emotivamente, ma anche fisicamente o energeticamente. È l’idea distorta che il valore di una donna è più probabile che sia legato al suo dovere o al suo ruolo nella vita e che si conquisti in base a ciò che “fa” piuttosto che ci sia per ciò che semplicemente è.
Alcune storie nei nostri corpi provengono da esperienze vissute di amore, perdita, rabbia, tradimento. Altre sono state scritte dai nostri antenati. Altre ancora da norme sociali, discriminazioni e stereotipi. Il corpo spesso ci chiede di vederle, lenirle e far pace con loro, di frenare la frenetica ricerca al di fuori della risposta, un impegno per sé e per le generazioni future. Dopo aver compreso da dove derivano questi modelli, si può insegnare al proprio sistema nervoso a fare gradualmente piccoli passi verso la sicurezza di stabilire confini, dire di no e mettere al primo posto i propri bisogni.
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